martedì 25 ottobre 2011

Fare la guerra per garantire la pace?


La storia dell’umanità è fatta di paradossi. Non stupisce quindi che questi paradossi si ripropongano nel tempo con assiduità e rinnovata fattezza. Tra i molti paradossi che si possono elencare uno spicca in modo prepotente alla nostra attenzione: fare la guerra per garantire la pace. Quest’affermazione è il paradosso per eccellenza: guerra e pace, i perfetti opposti che sono messi uno in funzione dell’altro, assurdo. Eppure su questo paradosso sono state costruite teorie politiche, filosofiche, opinionisti di vario tipo si scontrano ferocemente su due versanti opposti, chi è a favore e chi è contro, in ultimo, ma non meno rilevanti (anzi, l’esatto opposto) gli Stati hanno da sempre costruito gli interventi di politica estera (militare) con questo assunto. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta pensare alle guerre più recenti: la guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan, la guerra in Libia.
L’osservazione che mi viene da fare è che questo principio non è sempre rispettato come ci si aspetterebbe: se l’obiettivo è la pace, da garantire anche con la guerra (i buoni contro i cattivi, i salvatori contro i dittatori) perché gli interventi sono sempre pochi, mai tempestivi e spesso hanno molti risvolti che con la pace, hanno poco a che vedere?
La guerra in Libia, l’ultimo intervento internazionale a “supporto” della rivolta locale, per “salvare il popolo libico dal suo oppressore” si è svolto in un panorama decisamente più complesso e variegato di paesi oppressi: in Siria, mentre Francia, Uk e Italia bombardavano Misurata e Tripoli, il governo dispotico di Bashar al-Asad ha ucciso migliaia di cittadini che protestavano, in modo spregiudicato: donne, uomini, bambini e vecchi assassinati per strada su ordine dello Stato, ossia la negazione totale del principio stesso della disciplina dei diritti umani. Perché qua non è intervenuto ancora nessuno a “tutelare il popolo siriano”?
La Libia è uno degli Stati più ricchi al mondo, un altro paradosso, considerando che la gente vive pressoché alla soglia di povertà, seppur con redditi doppi rispetto a quelli dei tunisini per esempio, eppure per la presenza dell’oro nero, la Libia fa gola a molti. Ivi compresa l’Italia.
Nel teatrino politico la situazione non è andata come avrebbe dovuto.. o come era più naturale ipotizzare: Libia, ex colonia italiana, le imprese italiane dell’energia e del gas hanno avuto da sempre li interessi molto forti e sempre ben riusciti, eppure è la Francia ad essersi mossa in prima linea, e poi la Gran Bretagna. Per entrambe la motivazione principale consisteva nel “supporto alla rivoluzione dei libici”. Anche il presidente Obama ha sottolineato questo fatto, la guerra era in funzione della rivoluzione dei libici, non era un intervento organizzato a tavolino dagli Stati occidentali per intervenire malgrado la volontà del popolo. Apparentemente niente di strano, anzi, un avvenimento “positivo” (nella memoria di tutti rimane la guerra in Iraq, con premesse ben diverse, con esisti decisamente più devastanti e sicuramente con una minor attenzione all’idea di “intervenire a favore-supporto di” qualcuno/qualcosa). Sembra quasi risolto il paradosso del “fare la guerra per garantire la pace”, tuttavia sarebbe miope non osservare (ricordare) che in Libia si trovano anche alcuni dei più importanti giacimenti di petrolio, e che essendo uno degli Stati più ricchi al mondo (in termini di risorse naturali presenti) e lo Stato con il Pil/procapite più elevato del Nord-Africa.
Ancora una volta è lecito chiedersi se dietro questo intervento, l’ennesimo fondato sul paradosso poco fa esposto, si nascondono (nuovamente) interessi di carattere economico prima di tutto e politico di conseguenza?
Per molti è ovvio, per altri è catastrofismo e per altri ancora “complottismo”. C’è in questo dibatitto un punto debole, o meglio, un fattore che esula da un’analisi “oggettiva”: l’etica.
Si è così invischiati in un confronto tra differenti opinioni, tutte valide e nessuna superiore all’altra, da cui è difficile uscire con una sola possibile interpretazione dei fatti. Ci sarà chi accuserà gli Stati occidentali di nuovo imperialismo, e ci saranno coloro che accuseranno questi ultimi di essere anarco-insurrezionalisti o comunisti post-moderni.
Come per ogni tema che implica un confronto sul piano etico, anche questo delle guerre per la pace (per quanto sia paradossale) impone di osservare i fatti da un piano non solo politico-economico. Questo non vieta di essere critici nei confronti degli Stati occidentali su modalità di intervento, giustificazioni, tempistica e sulla scelta degli interventi da fare: in Libia si, in Siria no.
I libici hanno ottenuto realmente la loro libertà? Lo si vedrà. Hanno fatto bene ad agire in questo modo? Poco importa, lo hanno fatto. Gli interventi potevano essere realizzati senza passare per un intervento militare, probabilmente si, ma ormai ci è scappato il morto.
In un recente articolo, Vittorio Zucconi ha parlato di come la violenza non giustifichi mai la violenza, e di come l’epilogo di questa guerra abbia distrutto ogni idea iniziale positiva di rivoluzione: l’assassinio di Gheddafi (le ipotesi sono dal proiettile vagante, alla violenza fisica e poi all’omicidio a sangue freddo)  è la conclusione nefasta della guerra. Questa è la posizione di Zucconi, che personalmente condivido.
Lo stesso Zucconi spiega però, che è facile giudicare stando comodamente seduti sul proprio scranno, lontano da guerra, oppressione e fame, lontano dal terrore della polizia di Gheddafi e dalle torture riservate ai prigionieri nelle prigioni nel deserto, ed in effetti è proprio così. La componente emotiva di un popolo che si ribella ha una potenza “distruttiva” pari alla potenza “costruttiva”, e soprattutto rispetto alla volontà di costruire, che impone una progettualità  e una organizzazione, la volontà di distruggere non segue logiche di nessun tipo, se non il soddisfacimento del sentimento di distruzione.
Molti diranno, Gheddafi era un despota assassino, ha meritato di morire in modo violento, altri avrebbero voluto prolungarne l’agonia altri ancora avrebbe preferito vederlo alla sbarra, in un tribunale internazionale pronto per esser processato e poi condannato per tutti i crimini commessi. Altri ancora sono ignavi, non si espongono, palesano solo la possibilità che se fosse stato condotto all’Aja, avrebbe sicuramente avuto vantaggi e comodità, pure da prigioniero, senza perciò pagare per i crimini commessi. Come si vede, è tutto un paradosso, un “se..ma”. Il fatto è che Gheddafi è morto, assassinato e che la guerra in Libia è finita così, ma questo non comporta in automatico l’accesso alla modernità, alla democrazia e alla piena realizzazione delle aspirazioni dei libici. Il ruolo dell’occidente allora quando si esaurisce? se si esaurisce?
Difficile dirlo, le dichiarazioni più recenti hanno visto posizioni a favore della conclusione immediata di ogni intervento e di ogni assistenza (l’Italia per esempio); altri ipotizzano un periodo di “accompagnamento” alla democrazia almeno fino alle elezioni libere (Usa e Francia), altri si rallegrano ma non si pronunciano (la Germania).  
In tutto ciò però, la categoria dei “diritti umani” quanto è stata realmente rispettata, applicata e valorizzata? Se l’idea generale su cui la disciplina dei diritti umani si basa è quella della valorizzazione della persona (individuo) di per sé, assieme alle comunità (gruppi e/o collettività) e non degli interessi degli Stati o delle Nazioni (come sottolineato da Antonio Cassese, recentemente scomparso) , allora un’azione di guerra (per quanto giustificata dalla volontà di garantire in seguito la pace) che per di più si conclude con l’omicidio del despota, anziché con un processo, non può mai essere associata alla “tutela dei diritti umani”, né per il popolo, né per i singoli individui, né per il despota (che è comunque un individuo, per quanto degenere).

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Per chi fosse interessato ad una lettura sui temi della "tutela internazionale dei diritti umani" suggerisco: 

Cassese A., (2005) I diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari 
Cassese A., (2007) Diritto internazionale, Laterza, Roma-Bari
Galtung J., (1997) I diritti umani in un'altra chiave, Esperia, Roma
Scovazzi T., (2000) Corso di diritto internazionale vol.1, Giuffré editore, Torino
Scovazzi T., (2003) Corso di diritto internazionale vol.2, Giuffré editore, Torino