La storia dell’umanità è fatta di paradossi. Non stupisce
quindi che questi paradossi si ripropongano nel tempo con assiduità e rinnovata
fattezza. Tra i molti paradossi che si possono elencare uno spicca in modo
prepotente alla nostra attenzione: fare la guerra per garantire la pace. Quest’affermazione
è il paradosso per eccellenza: guerra e pace, i perfetti opposti che sono messi
uno in funzione dell’altro, assurdo. Eppure su questo paradosso sono state
costruite teorie politiche, filosofiche, opinionisti di vario tipo si scontrano
ferocemente su due versanti opposti, chi è a favore e chi è contro, in ultimo,
ma non meno rilevanti (anzi, l’esatto opposto) gli Stati hanno da sempre
costruito gli interventi di politica estera (militare) con questo assunto.
Senza andare troppo indietro nel tempo, basta pensare alle guerre più recenti:
la guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan, la guerra in Libia.
L’osservazione che mi viene da fare è che questo principio
non è sempre rispettato come ci si aspetterebbe: se l’obiettivo è la pace, da
garantire anche con la guerra (i buoni contro i cattivi, i salvatori contro i
dittatori) perché gli interventi sono sempre pochi, mai tempestivi e spesso
hanno molti risvolti che con la pace, hanno poco a che vedere?
La guerra in Libia, l’ultimo intervento internazionale a “supporto”
della rivolta locale, per “salvare il popolo libico dal suo oppressore” si è
svolto in un panorama decisamente più complesso e variegato di paesi oppressi:
in Siria, mentre Francia, Uk e Italia bombardavano Misurata e Tripoli, il
governo dispotico di Bashar al-Asad ha ucciso migliaia di cittadini che
protestavano, in modo spregiudicato: donne, uomini, bambini e vecchi
assassinati per strada su ordine dello Stato, ossia la negazione totale del
principio stesso della disciplina dei diritti umani. Perché qua non è
intervenuto ancora nessuno a “tutelare il popolo siriano”?
La Libia è uno degli Stati più ricchi al mondo, un altro
paradosso, considerando che la gente vive pressoché alla soglia di povertà,
seppur con redditi doppi rispetto a quelli dei tunisini per esempio, eppure per
la presenza dell’oro nero, la Libia fa gola a molti. Ivi compresa l’Italia.
Nel teatrino politico la situazione non è andata come
avrebbe dovuto.. o come era più naturale ipotizzare: Libia, ex colonia
italiana, le imprese italiane dell’energia e del gas hanno avuto da sempre li
interessi molto forti e sempre ben riusciti, eppure è la Francia ad essersi
mossa in prima linea, e poi la Gran Bretagna. Per entrambe la motivazione
principale consisteva nel “supporto alla rivoluzione dei libici”. Anche il
presidente Obama ha sottolineato questo fatto, la guerra era in funzione della rivoluzione dei
libici, non era un intervento organizzato a tavolino dagli Stati occidentali
per intervenire malgrado la volontà del popolo. Apparentemente niente di
strano, anzi, un avvenimento “positivo” (nella memoria di tutti rimane la
guerra in Iraq, con premesse ben diverse, con esisti decisamente più devastanti
e sicuramente con una minor attenzione all’idea di “intervenire a
favore-supporto di” qualcuno/qualcosa). Sembra quasi risolto il paradosso del “fare
la guerra per garantire la pace”, tuttavia sarebbe miope non osservare
(ricordare) che in Libia si trovano anche alcuni dei più importanti giacimenti
di petrolio, e che essendo uno degli Stati più ricchi al mondo (in termini di
risorse naturali presenti) e lo Stato con il Pil/procapite più elevato del
Nord-Africa.
Ancora una volta è lecito chiedersi se dietro questo
intervento, l’ennesimo fondato sul paradosso poco fa esposto, si nascondono
(nuovamente) interessi di carattere economico prima di tutto e politico di
conseguenza?
Per molti è ovvio, per altri è catastrofismo e per altri
ancora “complottismo”. C’è in questo
dibatitto un punto debole, o meglio, un fattore che esula da un’analisi “oggettiva”:
l’etica.
Si è così invischiati in un confronto tra differenti opinioni, tutte valide e nessuna
superiore all’altra, da cui è difficile uscire con una sola possibile interpretazione dei fatti. Ci sarà chi accuserà
gli Stati occidentali di nuovo imperialismo, e ci saranno coloro che
accuseranno questi ultimi di essere anarco-insurrezionalisti o comunisti
post-moderni.
Come per ogni tema che implica un confronto sul piano etico,
anche questo delle guerre per la pace
(per quanto sia paradossale) impone di osservare i fatti da un piano non solo
politico-economico. Questo non vieta di essere critici nei confronti degli
Stati occidentali su modalità di intervento, giustificazioni, tempistica e
sulla scelta degli interventi da fare: in Libia si, in Siria no.
I libici hanno ottenuto realmente la loro libertà? Lo si
vedrà. Hanno fatto bene ad agire in questo modo? Poco importa, lo
hanno fatto. Gli interventi potevano essere realizzati senza passare per un
intervento militare, probabilmente si, ma ormai ci è scappato il morto.
In un recente articolo, Vittorio Zucconi ha parlato di come
la violenza non giustifichi mai la violenza, e di come l’epilogo di questa
guerra abbia distrutto ogni idea iniziale positiva di rivoluzione: l’assassinio
di Gheddafi (le ipotesi sono dal proiettile vagante, alla violenza fisica e poi
all’omicidio a sangue freddo) è la
conclusione nefasta della guerra. Questa è la posizione di Zucconi, che
personalmente condivido.
Lo stesso Zucconi spiega però, che è facile giudicare stando
comodamente seduti sul proprio scranno, lontano da guerra, oppressione e fame,
lontano dal terrore della polizia di Gheddafi e dalle torture riservate ai
prigionieri nelle prigioni nel deserto, ed in effetti è proprio così. La
componente emotiva di un popolo che si ribella ha una potenza “distruttiva”
pari alla potenza “costruttiva”, e soprattutto rispetto alla volontà di
costruire, che impone una progettualità e
una organizzazione, la volontà di distruggere non segue logiche di nessun tipo,
se non il soddisfacimento del sentimento di distruzione.
Molti diranno, Gheddafi era un despota assassino, ha
meritato di morire in modo violento, altri avrebbero voluto prolungarne l’agonia
altri ancora avrebbe preferito vederlo alla sbarra, in un tribunale
internazionale pronto per esser processato e poi condannato per tutti i crimini
commessi. Altri ancora sono ignavi,
non si espongono, palesano solo la possibilità che se fosse stato condotto all’Aja,
avrebbe sicuramente avuto vantaggi e comodità, pure da prigioniero, senza
perciò pagare per i crimini commessi. Come si vede, è tutto un paradosso, un “se..ma”.
Il fatto è che Gheddafi è morto, assassinato e che la guerra in Libia è finita
così, ma questo non comporta in automatico l’accesso alla modernità, alla
democrazia e alla piena realizzazione delle aspirazioni dei libici. Il ruolo
dell’occidente allora quando si esaurisce? se si esaurisce?
Difficile dirlo, le dichiarazioni più recenti hanno visto
posizioni a favore della conclusione immediata di ogni intervento e di ogni
assistenza (l’Italia per esempio); altri ipotizzano un periodo di “accompagnamento”
alla democrazia almeno fino alle elezioni libere (Usa e Francia), altri si
rallegrano ma non si pronunciano (la Germania).
In tutto ciò però, la categoria dei “diritti umani” quanto è
stata realmente rispettata, applicata e valorizzata? Se l’idea generale su cui
la disciplina dei diritti umani si basa è quella della valorizzazione della
persona (individuo) di per sé,
assieme alle comunità (gruppi e/o collettività) e non degli interessi degli
Stati o delle Nazioni (come sottolineato da Antonio Cassese, recentemente
scomparso) , allora un’azione di guerra (per quanto giustificata dalla volontà
di garantire in seguito la pace) che per di più si conclude con l’omicidio del
despota, anziché con un processo, non può mai essere associata alla “tutela dei diritti umani”, né per il
popolo, né per i singoli individui, né per il despota (che è comunque un
individuo, per quanto degenere).
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Per chi fosse interessato ad una lettura sui temi della "tutela internazionale dei diritti umani" suggerisco:
Cassese A., (2005) I diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari
Cassese A., (2007) Diritto internazionale, Laterza, Roma-Bari
Galtung J., (1997) I diritti umani in un'altra chiave, Esperia, Roma
Scovazzi T., (2000) Corso di diritto internazionale vol.1, Giuffré editore, Torino
Scovazzi T., (2003) Corso di diritto internazionale vol.2, Giuffré editore, Torino