1) la libertà di pensiero,
2) il mutamento sociale.
Sui post di molti giornali si leggono posizioni più o meno aspre
verso l'uscita infelice (ed è il mio punto di vista) di Don Piero Corsi
sul fenomeno orribile del "femminicidio".
Ho letto commenti ai post, da parte di normali users, davvero interessanti (e a
volte raccapriccianti). Pur non condividendo nella sostanza il contenuto della
lettera di Don Corsi, molti utenti sbandierano il vessillo, sempre buono, un
po' come il cacio sui maccheroni, della "libertà di pensiero". Ma che cosa
vorrà mai dire? Allora ho risposto, a più riprese, chiedendo qualche
approfondimento. Si può o meno sostenre che in una democrazia la libertà di
pensiero è assoluta e che questa coincide con la "libertà di dire tutto ciò che si
desidera"? La risposta che mi sento di dare è un semplice, e
melodico "no". La libertà di espressione è più un limite al
"cosa si può" dire che non la totale assenza di freni. Questo è
valido specialmente quando ad aprire la bocca è un personaggio che riveste
un ruolo pubblico
di grande rilevanza: un politico, un prete, un cardinale, un ministro, un
pontefice (!). Partiamo da un po' di tempo fa, con un illustre pensatore noto
con il nome di Kant.
Il filosofo illuminista definisce la libertà di pensiero come "la capacità di valersi del
proprio intelletto senza la guida di un altro (uomo)". Si
presuppone, quindi, una sorta di illuminazione da parte della ragione sulla componente istintiva dell'uomo. Per Kant, è libero un uomo che produce un pensiero (critico) e indipendente, e la libertà di espressione si sostanzia nella possibilità di esprimere tale pensiero senza dover dipendere da altri. Mi piace la
definizione, perché è aperta, filosofica e quindi generale, ma per regolare la
vita collettiva occorre qualcosa di più che un principio, seppur elevato e così importante.
Andiamo nel giuridico. Nella nostra Costituzione, all'articolo
21 è sancito il diritto di manifestare il proprio pensiero individualmente o
pubblicamente, con mezzi di stampa, per voce o in qualunque altro modo. La
Costituzione ci protegge dal rischio di ricevere un bavaglio. Ma la legge ci impone anche dei limiti, definendo entro quale perimetro si può o meno parlare di "libertà di pensiero". Per esempio, non puoi offendere deliberatamente un'altra persona, con un intento lesivo, per sporcare la
sua "dignità", questo sarebbe ingiuria (Art. 594 Codice Penale) o diffamazione
(Art.595 Codice Penale). La libertà di manifestare il proprio pensiero, allora,
deve essere accompagnata, per essere valida da qualche elemento
aggiuntivo, per lo meno nel nostro ordinamento: veridicità,
ossia che ciò che viene affermato sia fondato su una qualche evidenza, continenza e interesse pubblico,
ossia rispettivamente la connessione tra le due cause e la rilevanza
pubblica di questa espressione (in questo caso il riferimento è al mondo
giornalistico, direi, e alla diffusione di notizie in senso generale). Nello
scontro “privato” il limite alla libertà di pensiero, o meglio, di parola, è
dato dal confine con cui non si può violare la dignità della persona, né con
atti scritti, né con parole, né con atti fisici o figurati. Naturalmente i
limiti imposti dalla legge sono poi valutabili dal giudice. Già per
questa breve rassegna, mi sembra molto chiaro che sbandierare il concetto di
“libertà di espressione” sia al quanto fuorviante e demagogico. Nel caso
specifico, accusare le donne di “provocare” il loro “aggressore” non è forse un
accusa alla loro dignità? Cosa sottende questa affermazione? Che sono donne troppo
disponibili? Prostitute? Lussuriose? L’intento quale sarebbe? Screditare la
vittima, e salvare il carnefice? Questa è o no una chiara violazione della dignità umana? Si la è. Accusare una vittima di essere
causa del proprio male, equivale a dire che “è colpa sua e che si è meritata
quello che le è successo”. E temo che l'opinione sia più diffusa di quanto non si creda.
A questo punto vorrei toccare il secondo punto “mutamento sociale”, e
si perché questa discussione impone una seria riflessione sull’evoluzione
socio-culturale del nostro Paese. Vorrei allora tornare indietro nel tempo,
circa 34 anni fa. Era il 1978, in RAI viene trasmesso il primo processo perstupro della storia televisiva italiana. La vittima è difesa dall’allora Avv. Tina Lagostena Bassi e
gli avvocati della difesa, tutti maschi, sono “accusati” di “solidarietà
maschilista”. In che senso? Ebbene, uno degli avvocati, nel 1978 dice (quasi)
testualmente che “dopo tutto ve lo siete cercate, volevate uscire anche voi la
sera perché i vostri mariti, amici figli lo potevano fare e avete voluto
mettere i pantaloni anche voi, allora diciamolo” afferma l’avvocato “se fosse
rimasta a casa al caminetto non le sarebbe accaduto nulla”. Ecco, signori
e signore, cosa è un processo per stupro: una trasformazione del soggetto
in oggetto, e della vittima in imputato. Il mutamento sociale allora,
ecco l’interrogativo: quali progressi abbiamo fatto nella struttura
socio-culturale del nostro Paese? Dopo 34 anni molti (troppi) utilizzano i
medesimi argomenti per giustificare un fenomeno che è solo “criminoso” e dunque
“riprovevole”. Quando una simile accusa è pronunciata dalla bocca (o
scritta dalla mano) di un uomo di Chiesa è ancora più grave: si vuole
trasformare un peccato (se mai esiste) in un “reato” o in una giustificazione
per eventuali atti odiosi che le donne subiscono. Sei un po’ troppo
estroversa ed esteta? Allora non lamentarti se poi un gruppetto di sacri
uomini, che agendo da veri uomini, ti stuprano e ti massacrano di botte. Fai un
esame di coscienza, taci, prega e vergognati! Ebbene, la formula della libertà
di pensiero non regge: un sistema socio-culturale così fortemente maschilista
va contro la definizione di Kant: un uomo che parla in questo modo non è libero
nel manifestare questo pensiero, ha un profondo condizionamento culturale. Si può quindi considerare 1) libero? 2) autonomo nel pensiero? 3) critico?, 4)giusto?
Cosa è possibile fare per contribuire ad un miglioramento di
questo sistema? Cosa potrebbe concorrere ad una effettiva emancipazione
culturale e sociale rispetto a questi stereotipi e pregiudizi, ma anche visioni
delle cose, rispetto a questa Weltanschauung di
Hegeliana memoria? Su molte cose il jolly, la carta che sempre funziona, è
quella dell’educazione.
Occorre sensibilizzare e diffondere prospettive nuove, diffondere una cultura
di genere che abbia al suo centro la dignità della persona umana e l’idea che
il male subito non è meritato quando a subirlo è una donna e soprattutto quando
a praticarlo è un uomo, su una donna. Non è così nemmeno per quanto riguarda la
violenza contro i transessuali e i trans gender, oppure contro gli omosessuali
(gay e lesbiche). La libertà di espressione non può, e non deve, essere lo
scudo per difendere e tutelare chi commette atti di violenza e di volgarità.
L’idea che la violenza sia giustificata sulla base del soggetto ricevente
è da sanzionare, non tanto non forme di repressione del pensiero, che possono
sortire un effetto opposto, ossia sostenere la validità di quell’idea perché
qualcuno cerca di censurarla, bensì con la formazione e l’educazione.
Forse sono banalità, le avrete già sentite dire e forse vi hanno
anche tediato, ma ahimé sono cose fin troppo contemporanee: era il 1979 e
l’arringa di Tina Lagostena Bassi, bellissima, appassionata e forte che vi ho
proposto nel link sopra, è purtroppo ripetibile oggi. Quanto è cambiato da allora?
Molto, e molto poco. Per queste ragioni, anche in rispetto profondo per quelle
donne che hanno subito una violenza, e che vivono sulla loro pelle l’orrore del
ricordo e nella loro mente la sofferenza di quei momenti, mi sono sentito di
riflettere su questo tema e lo ho voluto fare proprio in questa duplice prospettiva:
da parte di coloro che si parano dietro un concetto assai più complesso e
articolato, di come lo vogliono far intendere e dal punto di vista della
società e del nostro universo simbolico di riferimento. Una cosa positiva va
sottolineata: anche gli uomini, non molti, si sono offesi per queste
affermazioni. Hanno forse compreso che la lesione della dignità della donna
lede anche la loro.
Federico