mercoledì 28 settembre 2011

Una fisica sociale è possibile?







Discorso su "l'atomo sociale" di Mark Buchanan;



Tra le molte domande che affliggono gli scienziati sociali ce ne è una particolarmente opprimente: ma la mia disciplina, sia essa la sociologia, l’antropologia, l’economia o la psicologia, è o no, una scienza? Se il metro con cui si misura il livello di scientificità di una disciplina è quello relativo a quanto si utilizzano formule e numeri, equazioni e grafici, dunque quanto si fa ricorso agli strumenti della matematica e della statistica, allora l’economia è la disciplina delle scienze sociali che merita più di tutte il titolo di “scienza”.
In un recente libro dal titolo “L’Atomo Sociale”, il fisico teorico Mark Buchanan ha però spiegato che per quanto l’economia faccia ampio utilizzo di formule, equazioni e complessi modelli statistici, il grado di efficacia di questo set di strumenti è pressoché nullo. Dice Buchanan che la capacità predittiva dei modelli economici è ampiamente fallace per svariate ragioni (che la nuova sociologia economica da Mark Granovetter in poi ha comunque ampiamente spiegato, ben prima di questo libro di fisica sociale):

-        A) Gli economisti assumono che l’individuo sia perfettamente razionale, ma nel fare ciò compiono una grande astrazione. In poche parole, l’oggetto d’analisi dell’economia à la Friedman, è totalmente irreale;
-    B)Gli economisti escludono che l’individuo possa non essere pienamente razionale, perché questo complessificherebbe i modelli matematici, quindi non sarebbe razionale e nemmeno pratico;
-         C)Gli economisti ipersemplificano la realtà solo per confermare ciò che intendono confermare, dunque non prevedono niente nei loro modelli, perché sono totalmente distaccati dalla realtà concreta, a differenza di ciò che fa la fisica, che con i propri armamenti concettuali riesce a prevedere con una precisione inaudita una ampissima gamma di fenomeni;

Nella sua invettiva contro l’economia (che trovo ampiamente corretta) Buchanan spiega che il problema non è che è impossibile prevedere i comportamenti umani, ma che per farlo occorre stravolgere il modello di riferimento: l’assunto è che non è impossibile realizzare una vera scienza sociale pur con elementi d’analisi particolari come gli esseri umani. 
L’atomo sociale è l’individuo, e al pari di ogni altro elemento chimico e fisico, è soggetto a regole universali che se individuate permetterebbero di raggiungere la creazione di una vera scienza sociale, grazie anche alla matematica e alla fisica. Gli economisti non hanno successo nelle loro previsioni perché i loro modelli sono concettualmente errati. Attraverso un ampio ventaglio di esempi, Buchanan spiega come alcuni out-sider dell’economia abbiano cercato di superare questo problema applicando proprio le regole della fisica all’economia e come psicologi e sociologi abbiano provato a fare lo stesso su fenomeni che apparentemente non possono essere osservati e interpretati attraverso l’apparato teorico delle scienze dure. Così ci sono casi di economisti che applicano le leggi fisiche sul caos ai mercati finanziari, psicologi e sociologi che studiano il fenomeno della segregazione razziale con esperimenti in laboratorio con monetine e software al pc; altri cercando addirittura di interpretare il formarsi di fenomeni di massa (spostamenti nelle folle, la violenza, le mode, l’acquisto di beni di lusso…) attraverso frame work presi in prestito dalla fisica. Secondo Buchanan questo modo di procedere ha prodotto risultati interessanti, seppur ampiamente difettosi, ma con livelli di scientificità superiori.

Al di là del fascino che queste ipotesi suscitano in chi legge, specialmente se a leggere è un cosiddetto scienziato sociale (nello specifico un sociologo); non si può fare a meno di notare svariati punti deboli e problemi che Buchanan non spiega e non risolve.
Per esempio, non dimostra (come un fisico dovrebbe fare) che un individuo è realmente assimilabile ad un atomo, nello specifico che possa generare strutture extra-individuali. Se penso ad un atomo, non riesco a concepirlo come un individuo (e Buchanan lo ammette), perché stento a concepire un atomo che dialoga, che si infuria, che piange o che ride, che prende decisioni o che si sposa o fa altro. Quando due atomi si incontrano e si connettono, interagendo secondo legami (forti, deboli, a ponte d’idrogeno e via dicendo…) alla nostra percezione appaiono un tutt’uno: una sedia, un cubetto di ghiaccio, un metallo… due individui che interagiscono e si connettono danno vita ad un entità terza (se è un legame sessuale) con una nuova identità, ma le unità precedenti non si dissolvono, nemmeno nella percezione: il soggetto A resta il soggetto A, nella sua struttura biologica e in gran parte anche nella sua dimensione psicologica (seppur con trasformazioni più o meno rilevanti); l’individuo B resta B, mentre l’individuo C è altro da A e altro da B.
Buchanan suggerisce comunque di superare questo problema tralasciando la specificità dell’individuo atomo, e di guardare all’effetto delle interazioni, così da ragionare in un’ottica di “sistema”. Quindi per esempio, in una folla che si crea spontaneamente (o un ingorgo), senza un motivo specifico, è possibile osservare il formarsi di strutture che si auto-organizzano e si auto-alimentano. Quindi si sviluppano delle correnti, per cui un soggetto che vuole muoversi, si fa strada, attirando un altro soggetto che vuole muoversi, e così via per altri individui, così che altri flussi di individui invece di scontrarsi si spostano parallelamente e in direzioni anche opposte. Le auto che iniziano a rallentare senza che si sia verificato un incidente, rallentando fanno rallentare altre auto, e dunque si ha un ingorgo fantasma…
Per Buchanan queste sono manifestazioni di strutture sociali osservabili e prevedibili proprio perché si tratta di strutture, nate a prescinde dalla volontà dell’individuo (e degli individui).
Tuttavia, ciò che mi verrebbe da dire è che piuttosto che creare strutture extra-individuali come anonimi atomi che si incontrano e interagiscono, gli individui reagiscono, al mondo materiale con degli scopi precisi: le macchine che rallentano perché si trovano davanti qualcuno che va piano, rallentano perché non vogliono scontrarsi e farsi male, e così via per le altre macchine. Allora, in questo caso posso spiegare perché si verificano ingorghi, individuando l’automobilista X che va piano. Ma posso prevedere quando si formerà un ingorgo e dove, allo stesso modo di come posso prevedere il formarsi di una tempesta?
In queste reazioni  sociali; si hanno margini di libertà che diminuiscono ampiamente i livelli di prevedibilità delle azioni: se in questi flussi alcuni individui decidono (un atomo connesso in un legame, non decide di scinderlo, può spezzarsi per effetto di altri atomi ma non credo per una sua spontanea volontà) di spostarsi oltre i flussi, o di superare gli altri lo possono fare e quindi ci sarebbero elementi “di disturbo” che normalmente in fisica e in chimica non si trovano, o sono talmente rari come avvenimenti che sono trascurabili. Buchanan allora suggerisce di fare lo stesso con gli individui, perché «spiegare qualcosa significa concentrarsi sui particolari che contano e ignorare quelli che non contano, ed è così che dobbiamo affrontare l’atomo sociale e il mondo composto da atomi sociali»: quindi i “disobbedienti” e i “non conformi” possono essere esclusi dall’analisi?

Se la risposta è si, allora questo comporta ciò che nelle scienze sociali è prassi, nessuna novità, ossia la discrezionalità del ricercatore (l’oggettività non è assoluta, evidentemente nemmeno nelle scienze naturali). E cosa discosterebbe questo nuovo modo di pensare e agire, dall’applicazione della scelta razionale in economia?
Quando Buchanan tenta di spiegare fattori eminentemente sociali come la cooperazione, o psico-sociali, come la fiducia, l’imitazione e la capacità di adattamento (che sono le quattro capacità peculiari dell’essere umano computate dal fisico teorico) accade secondo me ciò che era prevedibile: si contraddice. In che modo? A mio parere nel fatto che tratta l’atomo sociale non diversamente da come lo fa la sociologia contemporanea (cita più volte Mark Granovetter per esempio e le sue analisi) , ossia parlando tra le righe di “razionalità limitata”; “irrazionalità”; “imprevedibilità”; l’influenza del contesto – l’embeddedness; e via dicendo. Tuttavia ciò che mi chiedo è, come è possibile applicare il metodo e gli strumenti della fisica ad elementi che non condividono quasi nessuna proprietà con quelli manipolabili dalla chimica e della fisica? Se non per il fatto che da essi siamo composti e, quindi che posso al più prevedere che bevendo molta acqua, per come funziona il sistema di drenaggio/spurgo dei liquidi nel corpo umano (o animale in generale), nel giro di poco tempo dovrò andare ad espellere questi liquidi? O che, se resto privo di acqua e cibo per un tot. di tempo sicuramente morirò?

Mistero, perché Buchanan non offre risposte precise e non dà linee guida (nessuno lo richiedeva, ma da un fisico ci si aspettano input e output osservabili, misurabili e confrontabili, non solo dissertazioni teoriche). Tuttavia nelle sue esemplificazioni (trattate quasi esclusivamente su esperimenti di altri studiosi) egli tralascia sistematicamente (una struttura?) il fatto che rispetto a ciò che accade in un laboratorio fisico o chimico, una volta che le molecole in questione vengono fatte interagire si sa esattamente cosa accade (o ci si avvicina molto): se metto un recipiente con dell’acqua su una fonte di calore, so per certo che raggiunta una certa temperatura (oggi o domani, qui o in Australia),  diciamo circa 100°C, l’acqua comincerà ad evaporare, fino a dissolversi nell’aria, lasciando il recipiente vuoto. Se l’esempio è banale, e scontato perché è un’attività quotidiana, allora pensiamo all’ambito medico: se inietto ad un paziente una dose massiccia di potassio in vena, so per certo che la conseguenza per l’individuo in questione sarà l’arresto cardiaco. In poche parole nell’ambito delle scienze naturali ho la possibilità di individuare la relazione causa-effetto con un’ampia gamma di azioni, e posso stare quasi certo che una volta fatto un certo esperimento tale relazione non cambierà sostanzialmente nel tempo.

Con gli uomini questo ragionamento non funziona così.

In uno degli esempi più accattivanti, cerca di spiegare l’origine delle folle e della violenza, mutuando da Granovetter l’idea delle differenti soglie con cui un individuo è disposto a cedere rispetto alle decisioni del gruppo. Ci saranno individui con resistenza 0 ossia coloro che scateneranno la rivolta, per esempio, e a seguire individui con un livello crescente di resistenza alla rivolta. Attraverso un processo di imitazione (capacità di imitazione intesa come proprietà dell’atomo sociale) l’atomo sociale a resistenza 0 attirerà a se quello a resistenza 1, poi 2 e così via in una catena di eventi, fino a coinvolgere individui a resistenza 99 o 100. Se ciò fosse vero, credo che le folle violente, le rivolte e via dicendo, sarebbero si individuabili ma a certe condizioni che mi sembrano astratte tanto quanto l’applicazione del modello del modello domanda-offerta nel mercato. 1) Devo individuare l’individuare a resistenza 0, quindi il potenziale istigatore, in tal modo posso soffocare la rivolta prima che quell’individuo la inneschi, ma poi dovrò fare lo stesso con gli individui a resistenza via via crescente. Non è certo che l’individuo a resistenza 99 non scateni la rivolta, perché potenzialmente non è impossibilitato dal farlo, è solo altamente improbabile (quindi, non impossibile). E la domanda è: come si fa ad individuare questo individuo? Non si sa. Non può essere catalogato come lo sono il cobalto, lo stronzio o l’uranio nella tabella degli elementi.
Non solo, 2) affinché la rivolta si realizzi, suppongo è necessario che gli individui con resistenza 0, 1, 2…10 che sono quelli a più alto rischio di generare una rivolta, siano contemporaneamente presenti in uno spazio più o meno definito, così che questa rivolta inizia a prendere forma. Se in un perimetro circoscritto ci sono atomi sociali con differenti livelli di resistenza, allora che succede? Non si sa di preciso. Ma ancora, 3) se un atomo sociale a livello di resistenza alla rivolta pari a 0 innesca un atto di violenza (incendia un auto), e nei paraggi c’è un atomo sociale a resistenza alla rivolta pari a 99, allora che succede? Agirà o non agirà? Quale è la reazione prevedibile? Positiva, negativa o neutra? Ma ancora, 4) se in questa catena di accadimenti uno degli atomi decide di staccarsi dal gruppo dopo avervi partecipato? Lo può fare, e le ragioni per cui può farlo sono molte e diverse: perché ha paura, perché non è più interessato, perché si è ricreduto! E questo è il punto che credo essere il più complesso e ambiguo in questo modo di ragionare. Se l’uomo, come afferma lo stesso Buchanan, ha la capacità di correggersi e di mutare il proprio comportamento sulla base dell’apprendimento e dell’adattabilità (niente di nuovo sotto il sole, molti filosofi lo hanno osservato, mi piace ricordare soprattutto il discorso sull’origine della disuguaglianza di Rousseau, che individua proprio in questa capacità ciò che ci distingue dagli animali, anche se non pienamente così come ha dimostrato la scienza negli ultimi decenni), ossia errando e cambiando se stesso, allora come la mettiamo? Ce la vedete una molecola di ossigeno “O” che si pente di essersi connessa alla doppia molecola di idrogeno (H2)? Io francamente no.
L’atomo sociale è in linea teorica molto interessante come concetto, l’idea di ragionare per strutture è molto affascinante, ma il metodo scientifico della fisica e della chimica, piuttosto che della matematica sottende una logica eccessivamente deterministica per poter valere anche nell’analisi dei contesti sociali. In questi ambiti, è molto semplice individuare effetti di causalità tra un dato fenomeno e un altro, è facile prevedere in ogni tempo e in ogni luogo, che l’acqua a temperatura 100°C evapora, non è scontato predire se in un gruppo di facinorosi, qualcuno intende dissociarsi e perché, e tanto meno è semplice prevedere quando e come si svilupperà una rivolta, o quando si realizzerà un crollo della borsa, o altro di questo tipo (non è impossibile, d’accordo, ma con quale metodo?).

Diceva Isaiah Berlin, proprio criticando il determinismo, che la sua affermazione non poteva coesistere con l’ammissione del libero arbitrio (l’ambito di discussione è ovviamente diverso da quello del fisico Buchanan, era rivolto all’idea di libertà e di scelta). Se l’uomo può scegliere, correggersi e discostarsi quando vuole dal resto del gruppo, allora è non accettabile l’idea che ogni sua azione sia pre-determinata e dunque prevedibile ex-ante.
A mio parere è lo stesso problema su cui si scontra Buchanan, ammette che l’uomo è diverso dall’atomo, ma deve essere trattato più o meno allo stesso modo, ammette che l’uomo può correggersi, ma considerando i macro-fenomeni suggerisce di ignorare queste piccole deviazioni, poiché non sono così rilevanti. Però, a volte sono proprio quegli outsider a determinare cambiamenti epocali nelle strutture sociali. E a quale legge fisica sono assoggettabili i diversi singoli atomi sociali che hanno smosso poi alcuni eventi della storia dell’umanità in modo così eclatante e imprevedibile? (Ghandi, Martin Luter King, Rosa Parker; o in negativo Hitler, Stalin…). Karl Popper aveva scritto che tra le varie caratteristiche che ci appartengono c’era quella di fare delle scoperte, ebbene, se ci fosse la possibilità di prevedere ex-ante ciò che si farà, nemmeno la categoria della scoperta avrebbe più senso. Era prevedibile che uno sconosciuto medico scoprisse la penicillina, dalla muffa di un battere? 

Con il senno di poi si possono dire tante cose, che da questi eventi si possa apprendere è senza dubbio vero, ma che sia possibile ricreare situazioni più o meno identiche o ritrovarle e dunque prevederle, mi sembra altamente improbabile. Con al recente scoperta della velocità dei neutrini, che supera quella della luce, forse anche le leggi della fisica devono essere riviste e dicono alcuni noti fisici che se questa scoperta si rilevasse vera (nelle scienze sociali il concetto di verità è al quanto insidioso, anche in economia); si incorrerebbe nell’assurdo: un input potrebbe essere percepito ancora prima di essere emesso!?  
Nella mia rassegna critica non voglio sminuire questo importante contributo teorico (non ne ho le competenze né le capacità), e credo che la sua lettura possa essere davvero interessante ed illuminante, perché offre spunti nuovi di riflessioni, tuttavia fatico a vedere una qualche reale applicabilità rispetto a queste proposte. Tanto in economia, quanto in psicologia e sociologia. 

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L’atomo sociale – Il comportamento umano e le leggi della fisica
Mark Buchanan,     
Mondadori, 2008
pp: 224
costo: 18 euro (attualmente ci sono sconti del 30%, verificate)




lunedì 12 settembre 2011

“Consumo, dunque sono” di Zygmunt Bauman

Recensione del libro di Bauman sul consumismo 







Tra i numerosi testi pubblicati da Laterza di Zygmunt Bauman, ho deciso di cominciare con il recensire questo saggio di ispirazione “cartesiana”: sembra che l’attività dell’intelletto, il pensare, il riflettere, non sia più la vera caratteristica dell’essere, piuttosto è la capacità di consumare a definire il perimetro dell’identità dell’individuo (post-moderno? Tardo moderno? O dell’individuo in senso più astratto e generale?).
Bauman fa sua una critica molto aspra al mondo contemporaneo, precedentemente definito “fluido”, evidenziando, con concetti presi dall’ambito militare-politico, come le logiche del mercato dei beni di consumo abbiano «assediato e colonizzato» anche il mondo delle relazioni sociali, lo spazio sociale in cui si costituiscono le relazioni interumane e, dove sottolinea Bauman, si costruiscono anche gli steccati che separano gli individui, su logiche di mercato.
L’argomentazione di Bauman sul ruolo del consumismo e del consumo, attraversa in modo non sempre immediato e coerente, tutti gli ambiti della vita degli individui: lavoro, vita familiare, vita sessuale, vita virtuale e così via. Gli esempi che il sociologo polacco offre a sostegno della sua teoria di deperimento sociale delle relazioni interumane ( a causa e per, le logiche di mercato) sono numerosi e possono trascendere il fattore spazio-tempo: dal Giappone al Regno Unito, dall’Ottocento al Novecento agli anni attuali, e via dicendo.    
La cornice metodologica è debole, nel senso che la sociologia di Bauman è volta più ad evidenziare l’utilità della sociologia per mezzo del discorso, piuttosto che su analisi statistiche e argomentazioni empiriche vere e proprie. Per molti sociologi qua sta il limite con la filosofia, tuttavia Bauman è un sociologo acuto e che offre spunti di riflessione molto importanti, con concetti evocativi ed efficaci, attraverso ideal-tipi (cfr.Weber) che sono sì affascinanti, ma anche appropriati (nel testo in questione è molto interessante la parte dedicata proprio alla discussione della costruzione degli ideal-tipi weberiani per comprendere la realtà sociale).
Trapela spesso la visione ideologica (me lo si passi) del sociologo polacco, tanto che spesso emerge la sua visione etica del mondo, specie in riferimento agli effetti del mercato nella sfera dell’intimità e delle relazioni sociali, è come se si avvertisse nelle sue parole (scritte) la nostalgia per quel mondo passato, che egli ha definito la società solida-moderna, quella della certezza, della prevedibilità e della determinatezza, che egli riassume nella frase (eticamente orientata?) “finché morte non ci separi


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Testi simili: Bauman (2010) L’etica in un mondo di consumatori, (anche in questo testo, in cui sono riportate parti del presente Consumo,dunque sono, è aggiunto il tema dell’etica. La prima parte del libro è infatti dedicata ad una rassegna di carattere filosofico al tema dell’etica, e poi segue un’analisi socio-politica della società del consumo, attraverso il concetto di etica: c’è etica in un modo di consumatori?)

Scheda libro:
Zygmunt Bauman
Consumo, dunque sono
Editori Laterza,
pp: 197
costo: 8,5 euro

La disoccupazione in Europa: attivi/inattivi e occupati/disoccupati

Analisi comparata su dati Eurostat (2011)



Quando si parla di disoccupazione si fa riferimento a quella quota di individui che sono senza un’occupazione, ma che sono alla ricerca di un’offerta di lavoro. Confrontando i dati resi disponibili recentemente da Eurostat sulla condizione occupazionale in Europa si può osservare un quadro abbastanza variegato: i paesi del mediterraneo presentano una situazione occupazionale più negativa rispetto ai virtuosi paesi del Nord Europa. La Spagna registra un tasso di disoccupazione del 21%, la Grecia 15%, e in Italia si registra un “rassicurante” (ma illusorio) 8%. Di segno opposto sono gli andamenti della disoccupazione in Germania (6%), Olanda e Austria (4%), Norvegia (3%)*.
Apparentemente la condizione italiana sembra non essere così drammatica. L’8% di disoccupazione sembra confermare le osservazioni di coloro che intendono offrire una visione ottimistica e positiva della ripresa italiana dalla crisi. Ma non è così. Come ha osservato su Repubblica, Giovanni Ajassa**, il fenomeno occupazionale in Italia è caratterizzato da una crescente quota di “scoraggiati”, soprattutto giovani, che escono dal mercato del lavoro, e andando a rinfoltire la quota degli inattivi, ossia coloro che non cercano attivamente un’occupazione. Ajassa osserva che se questa quota di inattivi entrasse ora nel mercato del lavoro, si assisterebbe, con molta probabilità, ad un’esplosione del tasso di disoccupazione, che potrebbe eguagliare se non superare, quello spagnolo (che è circa il 21%).
Ajassa (fonte: Eurostat, 2011), individua una consistente quota di inattivi, circa 15 milioni di individui (su un totale di 40 mln di individui in età lavorativa). Dall’analisi dei dati risulta che, rispetto al 2008, il numero di inattivi è aumentato di 620 mila unità; complessivamente si ha un rapporto di 38 individui inattivi su 100 persone in età lavorativo: il paradosso è che in Spagna, invece, gli inattivi sono tra i più bassi d’Europa, ossia 27 casi su 100 (fig.1). La domanda è: è peggio una situazione in cui ci sono più disoccupati o inattivi? La domanda è seria e non porta ad una soluzione condivisa. La situazione è drammatica.
Non a caso è crescente, anche in Italia, il fenomeno dei NEET***, ossia quelle fasce di età (in Italia dai 15 ai 29 anni) che non studiano, non seguono un corso di formazione e non cercano un’occupazione. Sono una quota sempre maggiore di giovani scoraggiati e senza prospettive per il futuro: dalle ultime indagini svolte con le rilevazioni ISTAT, sono emersi circa 2 mln di individui categorizzabili come NEET.
Scomponendo il tasso di disoccupazione totale infatti, emerge come, in Italia come in altri paesi (ma si amplifica la differenza tra paesi virtuosi e paesi non virtuosi), si osserva come la quota di disoccupati di età superiore ai 25 anni sia molto basso, in linea con gli altri paesi, mentre se si osserva la quota di disoccupati under 25, si evincono differenze molto grandi (fig. 2)
Ancora una volta emerge come la condizione giovanile sia quella maggiormente penalizzata. Occorre quindi partire da questo dato di fatto, probabilmente, per affrontare meglio la questione della ri-presa economica, specialmente al fine di ridurre la disoccupazione giovanile che è la vera piaga dei paesi occidentali, in contesti demografici sempre più caratterizzati da invecchiamento.

Fig.1


 Fig.2





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(* Eurostat, dati sul mercato del lavoro, accesso effettuato il 12 settembre 2011, ore 12;
** Giovanni Ajassa, in Affari&Finanza, n.28, in La Repubblica, 12 settembre 2011 , p.22;
*** Neet è l’acronimo di Not in employment, education and training)




RECENSIONE - "L'ABOMINEVOLE DIRITTO. GAY E LESBICHE, GIUDICI E LEGISLATORI"



Questo post è dedicato al libro di Matteo Winkler e Gabriele Strazio* dal titolo "L'abominevole diritto. Gay e Lesbiche, Giudici e Legislatori", con prefazione di Stefano Rodotà, edito da "Il Saggiatore".
Si è discusso molto di questioni di genere, non solo nella pagina ufficiale "SOCIOLOGIA" (http://www.facebook.com/pages/SOCIOLOGIA/50145214764?sk=wall)  da me creata e gestita, ma anche qua con qualche post specifico (vedi post precedenti). Questo libro è, come scrive Rodotà, importante perché parla prima di tutto di "eguaglianza" ed io vorrei aggiungere che tratta anche di "diritti umani". Può sembrare esagerato, ma non lo è.
Il libro offre interessanti spunti di riflessione non solo per gli appassionati di queer-studies e più in generale di studi di genere, ma anche per la sociologia come disciplina in senso generale. La tematica dell'orientamento sessuale presentata nel Libro da Winkler e Strazio, tocca più dimensioni: quella storico-culturale, con importanti riferimenti alle visioni del passato circa l'omosessualità.
Un testo scorrevole e piacevole, che mette in relazione aspetti giuridici con aspetti socio-culturali complessi e che sfiorano in modo inevitabile anche la dimensione etica (e dei diritti umani). Un testo importante per sapere di più su un modo troppo spesso stereotipato e di cui si conosce molto poco.

Consiglio la lettura,
Federico

SCHEDA LIBRO
Gabriele Strazio e Matteo Winkler,
L'abominevole diritto. Gay e Lesbiche, Giudici e Legislatori
pp: 320
Il Saggiatore,
costo: 17,5 euro