Quando si parla di disoccupazione si fa riferimento a quella
quota di individui che sono senza un’occupazione, ma che sono alla ricerca di
un’offerta di lavoro. Confrontando i dati resi disponibili recentemente da
Eurostat sulla condizione occupazionale in Europa si può osservare un quadro
abbastanza variegato: i paesi del mediterraneo presentano una situazione
occupazionale più negativa rispetto ai virtuosi paesi del Nord Europa. La
Spagna registra un tasso di disoccupazione del 21%, la Grecia 15%, e in Italia
si registra un “rassicurante” (ma illusorio) 8%. Di segno opposto sono gli
andamenti della disoccupazione in Germania (6%), Olanda e Austria (4%),
Norvegia (3%)*.
Apparentemente la condizione italiana sembra non essere così
drammatica. L’8% di disoccupazione sembra confermare le osservazioni di coloro
che intendono offrire una visione ottimistica e positiva della ripresa italiana
dalla crisi. Ma non è così. Come ha osservato su Repubblica, Giovanni Ajassa**,
il fenomeno occupazionale in Italia è caratterizzato da una crescente quota di “scoraggiati”,
soprattutto giovani, che escono dal mercato del lavoro, e andando a rinfoltire
la quota degli inattivi, ossia coloro che non cercano attivamente un’occupazione.
Ajassa osserva che se questa quota di inattivi entrasse ora nel mercato del
lavoro, si assisterebbe, con molta probabilità, ad un’esplosione del tasso di
disoccupazione, che potrebbe eguagliare se non superare, quello spagnolo (che è
circa il 21%).
Ajassa (fonte: Eurostat, 2011), individua una consistente
quota di inattivi, circa 15 milioni di individui (su un totale di 40 mln di
individui in età lavorativa). Dall’analisi dei dati risulta che, rispetto al
2008, il numero di inattivi è aumentato di 620 mila unità; complessivamente si
ha un rapporto di 38 individui inattivi su 100 persone in età lavorativo: il
paradosso è che in Spagna, invece, gli inattivi sono tra i più bassi d’Europa,
ossia 27 casi su 100 (fig.1). La domanda è: è peggio una situazione in cui ci
sono più disoccupati o inattivi? La domanda è seria e non porta ad una
soluzione condivisa. La situazione è drammatica.
Non a caso è crescente, anche in Italia, il fenomeno dei
NEET***, ossia quelle fasce di età (in Italia dai 15 ai 29 anni) che non
studiano, non seguono un corso di formazione e non cercano un’occupazione. Sono
una quota sempre maggiore di giovani scoraggiati e senza prospettive per il
futuro: dalle ultime indagini svolte con le rilevazioni ISTAT, sono emersi
circa 2 mln di individui categorizzabili come NEET.
Scomponendo il tasso di disoccupazione totale infatti,
emerge come, in Italia come in altri paesi (ma si amplifica la differenza tra
paesi virtuosi e paesi non virtuosi), si osserva come la quota di disoccupati
di età superiore ai 25 anni sia molto basso, in linea con gli altri paesi,
mentre se si osserva la quota di disoccupati under 25, si evincono differenze
molto grandi (fig. 2)
Ancora una volta emerge come la condizione giovanile sia
quella maggiormente penalizzata. Occorre quindi partire da questo dato di
fatto, probabilmente, per affrontare meglio la questione della ri-presa economica,
specialmente al fine di ridurre la disoccupazione giovanile che è la vera piaga
dei paesi occidentali, in contesti demografici sempre più caratterizzati da
invecchiamento.
Fig.1
___
(* Eurostat, dati sul mercato del lavoro, accesso effettuato
il 12 settembre 2011, ore 12;
** Giovanni Ajassa, in Affari&Finanza, n.28, in La Repubblica,
12 settembre 2011 , p.22;
*** Neet è l’acronimo
di Not in employment, education and
training)
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