lunedì 12 settembre 2011

La disoccupazione in Europa: attivi/inattivi e occupati/disoccupati

Analisi comparata su dati Eurostat (2011)



Quando si parla di disoccupazione si fa riferimento a quella quota di individui che sono senza un’occupazione, ma che sono alla ricerca di un’offerta di lavoro. Confrontando i dati resi disponibili recentemente da Eurostat sulla condizione occupazionale in Europa si può osservare un quadro abbastanza variegato: i paesi del mediterraneo presentano una situazione occupazionale più negativa rispetto ai virtuosi paesi del Nord Europa. La Spagna registra un tasso di disoccupazione del 21%, la Grecia 15%, e in Italia si registra un “rassicurante” (ma illusorio) 8%. Di segno opposto sono gli andamenti della disoccupazione in Germania (6%), Olanda e Austria (4%), Norvegia (3%)*.
Apparentemente la condizione italiana sembra non essere così drammatica. L’8% di disoccupazione sembra confermare le osservazioni di coloro che intendono offrire una visione ottimistica e positiva della ripresa italiana dalla crisi. Ma non è così. Come ha osservato su Repubblica, Giovanni Ajassa**, il fenomeno occupazionale in Italia è caratterizzato da una crescente quota di “scoraggiati”, soprattutto giovani, che escono dal mercato del lavoro, e andando a rinfoltire la quota degli inattivi, ossia coloro che non cercano attivamente un’occupazione. Ajassa osserva che se questa quota di inattivi entrasse ora nel mercato del lavoro, si assisterebbe, con molta probabilità, ad un’esplosione del tasso di disoccupazione, che potrebbe eguagliare se non superare, quello spagnolo (che è circa il 21%).
Ajassa (fonte: Eurostat, 2011), individua una consistente quota di inattivi, circa 15 milioni di individui (su un totale di 40 mln di individui in età lavorativa). Dall’analisi dei dati risulta che, rispetto al 2008, il numero di inattivi è aumentato di 620 mila unità; complessivamente si ha un rapporto di 38 individui inattivi su 100 persone in età lavorativo: il paradosso è che in Spagna, invece, gli inattivi sono tra i più bassi d’Europa, ossia 27 casi su 100 (fig.1). La domanda è: è peggio una situazione in cui ci sono più disoccupati o inattivi? La domanda è seria e non porta ad una soluzione condivisa. La situazione è drammatica.
Non a caso è crescente, anche in Italia, il fenomeno dei NEET***, ossia quelle fasce di età (in Italia dai 15 ai 29 anni) che non studiano, non seguono un corso di formazione e non cercano un’occupazione. Sono una quota sempre maggiore di giovani scoraggiati e senza prospettive per il futuro: dalle ultime indagini svolte con le rilevazioni ISTAT, sono emersi circa 2 mln di individui categorizzabili come NEET.
Scomponendo il tasso di disoccupazione totale infatti, emerge come, in Italia come in altri paesi (ma si amplifica la differenza tra paesi virtuosi e paesi non virtuosi), si osserva come la quota di disoccupati di età superiore ai 25 anni sia molto basso, in linea con gli altri paesi, mentre se si osserva la quota di disoccupati under 25, si evincono differenze molto grandi (fig. 2)
Ancora una volta emerge come la condizione giovanile sia quella maggiormente penalizzata. Occorre quindi partire da questo dato di fatto, probabilmente, per affrontare meglio la questione della ri-presa economica, specialmente al fine di ridurre la disoccupazione giovanile che è la vera piaga dei paesi occidentali, in contesti demografici sempre più caratterizzati da invecchiamento.

Fig.1


 Fig.2





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(* Eurostat, dati sul mercato del lavoro, accesso effettuato il 12 settembre 2011, ore 12;
** Giovanni Ajassa, in Affari&Finanza, n.28, in La Repubblica, 12 settembre 2011 , p.22;
*** Neet è l’acronimo di Not in employment, education and training)




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